Questa è la mente operativa dietro all'Alcoa. La stessa azienda che l'11 settembre 1973 diede il via al golpe in Cile.
Lasciamo
perdere le commemorazioni e le piatte rimembranze retoriche e passiamo
subito al sodo che ci interessa, oggi e a casa nostra.
Parliamo dunque dell’Alcoa e di Portovesme in Sardegna.
Di conseguenza, parliamo di scelte strategiche militari e di investimenti di speculazione finanziaria sui derivati nelle commodities del settore minerario.
Quella che si sta combattendo in Sardegna è guerra vera, ma non lo dicono.
Quando parlo di “guerra vera” intendo dire carri armati, bombardieri, ecc.
E di un flusso di cassa permanente di soldi per la criminalità organizzata.
Una brevissima pausa tanto per ricordare quel martedì atroce dell’11 settembre.
Non quello delle torri gemelle nel 2001.
Bensì
quello del 1973, quando la Alcoa, la Enron, la ITT e la Citicorp
diedero il via definitivo ai fascisti cileni per impossessarsi del
potere in Sudamerica con la violenza. Avevano bisogno del controllo
economico e finanziario di tutta la produzione estrattiva delle miniere
di rame in Cile, del controllo della produzione di alluminio, carbone e
zinco nella zona tra Il Cile, il Perù, l’Uruguay e il Paraguay. Fu
quella la ragione e il motivo.
39 anni dopo la Alcoa sta di nuovo in prima fila nella gestione del riassestamento strategico delle sue aziende.
L’ufficio
operativo marketing europeo nacque e si costituì a Milano, nel 1967, e
da lì, grazie all’appoggio dei ceti più conservatori della politica
italiana, iniziarono a tessere le fila per il golpe in Sudamerica nei
primi anni’70, come tonnellate di documenti hanno ampiamente provato da
decenni.
Ho ritenuto opportuno, oggi, quindi, spiegare chi sia la Alcoa.
Chi la dirige, chi la gestisce. Chi c’è dietro.
Per comprendere che non si tratta di una “normale” battaglia sindacale.
Si
tratta del nuovo scenario dell’oligarchia finanziaria planetaria da
applicare all’Azienda Italia per affossare definitivamente il paese.
Dietro
l’Alcoa c’è la Citicorp che ne gestisce la finanza in un fondo creativo
il cui management operativo è affidato al nucleo di Black Rock
Investment, garantito da Royal Bank of Scotland e amministrato, in
ultima istanza, dal quartiere generale di Goldman Sachs (è tutta
robbetta ricavata da files pubblici gentilmente offerti nel 2010 e nel
2011 dalla ditta wikileaks di Julian Assange) che in questo 2012
sovrintendono, gestiscono e stabiliscono gli investimenti produttivi nel
settore energetico nel pianeta.
Ecuador, Bolivia, Uruguay, Islanda, Australia, Spagna, Italia.
Queste sono le nazioni “strategicamente” più interessanti per Alcoa negli ultimi 10 anni.
Queste
sono le nazioni nelle quali, nell’ultimo triennio, Alcoa ha avuto dei
seri guai (oltre che perdere ingenti profitti ai quali erano abituati).
Nelle
prime quattro nazioni il problema è stato risolto dai governi locali e
vi spiegherò come. In Australia è stato affrontato e risolto dal
Commonwealth in 36 ore tra il 28 e il 29 giugno del 2012, evitando una
pericolosa crisi politica britannica venti giorni prima dell’inizio
delle olimpiadi. In Spagna e in Italia (considerate ormai in tutto il
mondo le due nazioni più conservatrici, più arrese, più arretrate dal
punto di vista politico, completamente commissariate dai colossi
finanziari) è stata scelta la linea colonialista, sapendo che in Italia e
Spagna, in questo momento, è possibile fare tutto ciò che si vuole
perché non esiste nessuna opposizione reale, avendo cancellato
l’esercizio dell’informazione giornalistica.
Nessuno spiega chi è Alcoa, che cosa fanno, che cosa vogliono da noi, e perché se ne vanno via, dove, come, a fare che.
La prima botta per Alcoa è venuta dall’Islanda.
I
guai per Alcoa (si fa per dire) iniziano in Islanda, agli inizi del
2007, quando un esponente del partito socialista islandese, membro della
commissione salute e sanità del parlamento islandese, Helgi Hjorvar,
fa una interpellanza parlamentare contro Alcoa sostenendo che “sta
ottenendo sovvenzioni statali grazie alle quali ha assunto il totale
controllo dell’erogazione di energia elettrica nella nostra isola
praticando un prezzo ai consumatori dell’850% superiore a quelli di
mercato e a quelli praticati in altre nazioni”. Da lì nasce una
tremenda querelle che porterà poi Alcoa, prima a scusarsi, poi a
patteggiare e infine, travolta dallo scandalo di corruzione delle
multinazionali emerso in seguito al default islandese, a pagare un dazio
e poi scappare via.
Ma pochi mesi dopo, alla
fine del 2008 arriva la botta dell’Ecuador. Il nuovo governo di Rafael
Correa fa arrestare l’intero management di Petroecuador attaccando per
corruzione internazionale la società svizzera Glencore, sì proprio
quella che la cupola mediatica italiana sostiene oggi sui media
blaterando “c’è un cliente interessato all’acquisto”, è proprio quella
che –toh guarda caso- è però la stessa azienda; perché, attraverso
incroci azionari, rispondono entrambe all’interesse della Citicorp di
New York. Fernando Villavicencio, esperto sudamericano a Quito di
analisi finanziarie, rivela come e perchè l’azienda locale di Alcoa e
Glencore, a Quito, sia stata nazionalizzata e l’azienda buttata fuori
dal marketing operativo. Il tutto dopo che in data 9 Febbraio 2007, in
Bolivia, il presidente Evo Morales aveva dichiarato “insostenibile” il
monopolio di Glencore e Alcoa nel settore argento, oro, zinco, alluminio
attraverso la “Empresa metalurgica Vinto” nella regione di Oruro e la
Sinchi Wayra (capitale finanziario Deutsche Bank e Citicorp) grazie
alla corruttela dei precedenti governi, i cui esponenti sono finiti in
galera. Nella stessa data, il parlamento boliviano vara un decreto legge
in virtù del quale confisca le aziende di Alcoa e Glencore senza alcun
indennizzo, nazionalizza le dodici aziende minerarie, e le espelle
entrambe dal paese vietandone l’accesso al mercato. Da notare che il
presidente della Glencore (uno degli uomini più ricchi al mondo) Marc
Rich, è stato indagato in Usa per truffa, aggiotaggio, riciclaggio,
sottoposto ad auditing davanti al Senato Usa nel febbraio del 2001 in
diretta televisiva, processo concluso in maniera negativa sia per Rich
che per la Glencore che per la Alcoa, ritenute colpevoli. La sentenza
definitiva venne stabilita per il successivo aprile. Ventiquattro ore
prima della notifica, il presidente George Bush intervenne personalmente
(potendolo legalmente fare) chiedendo, pretendendo e ottenendo un
“perdono giuridico del Congresso” in quanto tali aziende erano costrette
a non rivelare la “vera natura del proprio business operativo essendo
coinvolte in attività di natura strategica militare coperte dal segreto
di Stato”. Il presidente garantì per loro. Nel 2005 l’interpol fa
arrestare l’intero management di Glencore, di Alcoa e di African United
Mines company nella Repubblica del Congo per riciclaggio internazionale
di capitali, aggiotaggio e associazione con membri della criminalità
organizzata legata ai cartelli narcos colombiani. E’ tuttora aperta la
vicenda nella Repubblica dello Zambia, nella regione di Mopani, dove,
approfittando della corruzione dei governanti locali le miniere vengono
gestite senza rispettare alcuna norma di sicurezza o di rispetto
ambientale. Come l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rivelato in
un documento ufficiale presentato a Ginevra da Greenpeace in data 2010,
in Zambia, “nella zona prospiciente la regione di Mopani, cinque milioni
di persone rischiano la vita in seguito a piogge acide,
all’avvelenamento di tutta la falda acquifera dato che la popolazione
beve acqua non sapendo che essa non è potabile perché contiene una
percentuale di piombo e alluminio superiore del 6.000% al livello
massimo di rischio: sono tutte condannate a morte”. L’inchiesta è
ancora lì.
In Paraguay, il vescovo Lugo, in
quanto presidente regolarmente eletto, in data marzo 2012 aveva
annunciato che avrebbe confiscato le miniere di Glencore e di Alcoa nel
giugno del 2012 dando loro la possibilità di iniziare un piano di
disinvestimento progressivo. Un mese dopo c’è stato il suo
defenestramento sostituito da un governo tecnico che ha abolito il
decreto affidando alle due aziende il controllo delle miniere del paese.
E
così nel 2012 la Alcoa stabilisce che il quadro internazionale sta
cambiando e decide di “spostare strategicamente tutte le attività
estrattive, produttive e commerciali dal Sudamerica, Europa e Australia
nel libero territorio dell’Arabia Saudita” paese medioevale dove c’è la
possibilità di avere a disposizione mano d’opera che lavora quasi
gratuitamente. Secondo il management dell’Alcoa c’è la opportunità di
concentrare tutta la produzione mondiale di minerali fossili in Arabia
Saudita con un prezzo di produzione minimo in modo tale da poter avere
il monopolio nel mondo. E quindi dettare legge.
In
Spagna (dove si trova la più grande azienda in Europa) gli va di
lusso. Attraverso le sue consociate finanziarie, il gruppo Citicorp
possiede pacchetti azionari di Caixa Bank, Banco Santander, Bankia e
Banco Hispanico e quindi controlla il sistema finanziario delle banche
erogatrici di credito a tutto il comparto dell’indotto nella provincia
dell’Andalusia. 50.000 famiglie finiscono tutte sul lastrico per la
chiusura delle miniere, alle quali vanno aggiuntre circa 2.000 micro
aziende dipendenti, che porteranno la Andalusia a dichiarare default
nell’agosto del 2012 chiedendo l’intervento dello stato centrale.
Ma è in Australia che gli va male, ragion per cui sceglie e opta per la chiusura in Italia.
Avviene
tutto nel giugno del 2012 quando Alcoa decide di chiudere le miniere
nel Queensland, licenziando 2.000 persone che coinvolgono altre 3.600
persone operative nell’indotto. E qui c’è la sorpresa, a dimostrazione
che –quando esiste la volontà politica, l’informazione e l’intelligenza-
c’è sempre una possibilità di uscita. La Alcoa comunica che chiude le
sue miniere e si trasferisce in Sudafrica. 48 ore dopo, il gruppo
wikileaks australiano di Julian Assange inonda la rete australiana con
notizie, informazioni (e trascrizioni di conversazioni tra diplomatici
americani, inglesi, arabo-sauditi, italiani) relative soprattutto
all’attività di un tedesco considerato un grande genio, Klaus Kleinfeld,
la mente dietro Alcoa, l’uomo la cui immagine vedete qui in bacheca.
Nato nel 1957 si laurea a pieni voti nella prestigiosa università di
Gottinga e poi prende anche un dottorato di ricerca nell’università di
Wurzburg in “amministrazione gestionale di aziende multinazionali” e
inizia presto la sua attività, prima come consulente finanziario per
Goldman Sachs nei primissimi anni’80 e poi a Duisbrug, Wiesbaden e
infine a Francoforte, come responsabile degli investimenti finanziari in
Europa per conto del gigante statunitense Citicorp. A metà dergli
anni’90 entra in Alcoa diventando presidente dal 1996 al 2001,
gestendo in prima persona “l’operazione Italia di Portovesme” (dal punto
di vista finanziario) prima con l’accoppiata Romano Prodi/Massimo
D’Alema nel 1996 e 1997 e poi con l’accoppiata Silvio Berlusconi/Ignazio
La Russa nel 2001. Dopodichè viene inviato in Usa dove diventa
amministratore delegato della Siemens tedesca, gigantesca multinazionale
strategica in campo militare e delle telecomunicazioni. Ma in Germania
iniziano le contestazioni contro di lui all’interno del mondo
imprenditoriale per i suoi modi autoritari e per l’indecoroso
trattamento degli impiegati e degli operai tedeschi nelle fabbriche
tedesche. Per anni, Kleinfeld è al centro del mirino della stampa
tedesca finchè non finisce indagato, accusato di corruzione, abuso di
potere e addirittura “atteggiamento autoritario e lesivo della dignità
umana dei propri dipendenti” ed è costretto a dimettersi nel 2007,
scomparendo nel nulla (ovvero, rientrando come consulente operativo
finanziario dentro Citicorp).
Alcoa in Italia
nasce nel 1967 a Milano quale ufficio di rappresentanza e commerciale
per la gestione delle vendite di materiale di produzione statunitense ed
europea alla clientela italiana e del Bacino Mediterraneo. Ma Kleinfeld
gestisce, insieme a Citicorp e Goldman Sachs, l’acquisizione della
ALUMIX (gruppo EFIM) di proprietà dell’Italia; un’operazione gestita da
Prodi e D’Alema che consegnano nelle mani del consorzio Citicorp e
Goldman Sachs un pezzo strategico fondamentale per la sovranità e
l’indipendenza nazionale senza aver mai fornito dettagli
sull’operazione. Alain Belda (personalmente scelto da George Bush, Dean
Rumsfeld e Dick Cheney) nel 2001 diventa presidente della Alcoa e
chiude un accordo con il governo italiano prima nel 2002 (Berlusconi/La
Russa) poi di nuovo nel 2007 (Prodi/D’Alema) e infine il più succoso in
assoluto quello del 2009 (Berlusconi/La Russa) che consente alla Alcoa
di godere di sovvenzioni governative come “rimborso relativo all’uso
dell’energia elettrica” per un totale di 2 miliardi di euro nel 2009,
più 1 miliardo e mezzo nel 2010 che raggiungono i 4,5 miliardi di euro
nel 2011, a condizione di “garantire l’occupazione permanente e il
prosieguo dell’attività produttiva nel territorio sardo”. Quei soldi, in
verità, sono finiti nella Citicorp, investiti nei derivati finanziari.
Neanche lo vendono l’alluminio: lo producono, lo accatastano, lo
immagazzinano e lo danno in garanzia per avere soldi da investire in
derivati speculativi.
L’Italia è stata una
pacchia per gli speculatori, soprattutto tra il 2007 e il 2011, perché
attraverso la malleveria politica ogni multinazionale e grossa azienda
–con scusanti varie- si è appropriata di ingenti risorse dello stato
centrale (cioè i nostri soldi) per investirli poi a Londra, New York,
Francoforte, Honk Kong.
Ma i profitti lucrati non sono mai rientrati in Italia.
Neppure un euro.
Come
dicevo sopra, nel giugno del 2012 Alcoa decide di chiudere in Australia
“rompendo” il consueto patto: mi dai sovvenzioni statali e io ti
garantisco piena occupazione nel settore. Ma in Oceania, la manovra non
passa. Fa da ariete Julian Assange (e wikileaks) da due giorni finito
dentro l’ambasciata dell’Ecuador, e in Australia monta il dibattito su
Alcoa. Perché sul web australiano, sui blogs e sulla stampa mainstream
cominciano a comparire valanghe e fiumi di notizie sulla Alcoa, sulla
Glencore e sulle loro attività finanziarie. Il primo ministro
australiano interviene e risolve il tutto in tre giorni. Telefona alla
regina Elisabetta e le dice “Maestà, se queste 4.000 famiglie verranno
buttate in mezzo alla strada, riterrò politicamente responsabile la
Corona d’Inghilterra e lei personalmente ne trarrà le conseguenze. Sulla
base del nostro diritto io denuncio quindi la questione al
Commonwealth, pretendendo un’aperta discussione anche all’interno del
parlamento britannico a Londra”. Lo fa anche per iscritto. Invia una
lettera a Elisabetta (bypassando David Cameron) ma la copia la invia
anche ai responsabili del Partito Laburista Britannico (i partiti
servono, eccome se servono; il problema non sono i partiti, in Italia,
ma la qualità delle persone che li compongono, il che è un altro dire) i
quali si incontrano con la regina e risolvono la questione in un
semplice colloquio, peraltro informale. La Legge britannica obbliga la
regina a non mettere bocca su quello che fa il suo primo ministro (a
meno che lei non lo sfiduci) ma il primo ministro non si impiccia del
Commonwealth che la Corona sovrintende (Canada, Australia, Bahamas,
Bermudas, ecc.). Il ministro degli esteri inglesi viene avvertito e
invitato a chiedere alla Merkel che intervenga; evento che si verifica.
Kleinfeld viene raggiunto e viene chiuso un nuovo accordo. La Corona
mette subito 40 milioni di sterline per pagare gli stipendi dei minatori
per due mesi e nel frattempo garantisce che la Alcoa rimane lì e
seguiterà a produrre, oppure, nel caso se ne voglia andare, restituisce i
soldi che ha avuto e la Corona d’Inghilterra si fa garante, oltre a
farsi carico della spesa di riconversione, assumendosi la responsabilità
di avere a suo tempo dato il via all’operazione.
Trovate tutto il racconto sul sito (per gli amanti dei link) news.ninemsn.com.au
Perché non farlo anche in Italia?
L’Alcoa
o rimane (e ringrazi il cielo) oppure deve restituire i soldi che ha
avuto, li deve restituire subito, cash really cash, sufficienti a
garantire la tenuta dell’occupazione e riconvertire con un abile piano
industriale la zona rilanciando lavoro e occupazione. Si tratta di circa
8 miliuardi di euro, praticamente una manovra economica.
Lo sapete che non esiste una fattura, un bilancio, una documentazione, una ricevuta di quei soldi?
Lo
Stato italiano per anni ha dato i soldi dei contribuenti a un’azienda
gestita da una pattuglia che rispondeva agli ordini di Dean Rumsfeld
(ex ministro della Difesa Usa) uomo costretto alle dimissioni in Usa e
scomparso nel nulla per pudore, e assiste passivo e silente dinanzi a
ciò che sta accadendo?
Perché i sindacati non raccontano la storia vera di Alcoa?
Perché i sindacati non raccontano chi c’è e c’è stato dietro Alcoa?
Corrado
Passera sostiene che c’è “un interesse” di Glencore. Ma questa è
un’azienda finanziaria che si occupa di investimenti su derivati, l’uno è
il braccio dell’altro: che cosa fanno? Un ufficio vende la propria
azienda a un’altra stanza dello stesso ufficio?
Ci avete presi per deficienti cerebrolesi?
Il
sole24 ore poi viaggia su un delirio da cupola mediatica: “c’è un forte
interesse da parte di un’industria svizzera, la Klesh”.
Peccato
che anche questa sia una società finanziaria della Citicorp, gestita da
Goldman Sachs, già operativa dentro la Alcoa, ex socia di Halliburton,
Enron e Pimco Pacific insieme al vice-presidente Usa Dick Cheney,
gestita da un management “discutibile” dato che l’intero consiglio
amministrativo è composto da individui indagati, denunciati, alcuni
condannati per riciclaggio, aggiotaggio, violazione delle norme fiscali,
retributive e associative, tra cui falso in bilancio, coinvolti in
continui scandali finanziari.
In Sudamerica
stanno cercando di liberarsi di questa gente. Quando e se possono, li
sbattono fuori dal paese, o li mettono in galera.
In
Australia, il governo è intervenuto subito coinvolgendo tutta la city
di Londra, minacciando sfraceli. Ha ottenuto un risultato in 48 ore.
E in Italia?
I
lavoratori della Alcoa hanno il sacrosanto diritto di combattere per la
salvaguardia del loro posto di lavoro, che era stato garantito da
accordi inter-governativi di tipo militare.
Ma
hanno il dovere civico di chiedere ai sindacalisti “ragazzì….com’è sta
storia della Alcoa?” e pretendere da loro che raccontino chi c’era
dietro, quali accordi hanno stipulato, quali erano le garanzie
reciproche, pretendere l’esibizione di tutta la regolare documentazione
dello scambio tra Alcoa e governo, con nomi e cognomi, date e cifre. Se
era legale, dovrebbe essere tutto documentato. Se non è documentato,
allora vuol dire che non è legale e il Diritto consente di sequestrare
gli impianti come si fa con la mafia.
Soprattutto pretendere che si sappia che cosa c’è dietro, oggi, adesso. Ora.
Nella Guerra Invisibile, la battaglia per il controllo delle risorse energetiche è fondamentale.
Gli
operai sardi devono chiedere “Perché l’Alcoa chiude, adesso? Dove sono
andati a finire i miliardi di euro che hanno ricevuto? Che cosa hanno
dato in cambio?”
Ma soprattutto avere il coraggio civile, e civico, di chiedere “A chi hanno dato in cambio qualcosa? Quando? Come? Quanto?”.
Perché di questo si tratta.
Ecco
il vero volto dell’attuale governo in carica: gestire e pilotare la
crisi per spingere all’angolo della disperazione sociale chi lavora e
poi presentarsi e dire: “o finite in mezzo alla strada oppure vi
possiamo salvare vendendo questa azienda a Mr. Pinco Pallino perché noi
siamo buoni” obbligando la gente (e le aziende) ad accogliere a braccia
aperte Mr. Pinco Pallino senza sapere chi diavolo sia. Così entra la
criminalità organizzata, e così penetrano le società finanziarie, il cui
unico, dichiarato scopo, consiste nella de-industrializzazione delle
nazioni.
Vogliamo sapere le condizioni di
vendita all’Alcoa scritte nel 1996. Chi stabilì allora il prezzo? Quali
parametri vennero usati e applicati?
Vogliamo
sapere quali condizioni e postille e clausole c’erano negli accordi
strategici sottoscritti dal governo nel 2001, nel 2007 e nel 2009.
Vogliamo
sapere come sia possibile che l’Italia nel 1992 era tra le nazioni
leader al mondo nella produzione di lingotti di alluminio e adesso è
sparita dal mercato.
Coloro che hanno gestito queste manovre sono le stesse persone che oggi pretendono di guidare il presupposto cambiamento.
Stanno tutti in parlamento.
E voi vi fidate di gente così?
“Devono andare tutti alle isole Barbados”.